Il romanzo d’esordio (datato 1987) dell’ahimé compianto David Foster Wallace, morto suicida il 12 settembre scorso, è una specie di caleidoscopio.

Di esso, credo, si può dire poco: che c’è una protagonista chiamata Lenore, alla ricerca della bisnonna Lenore che, improvvisamente, è scomparsa nel nulla, inspiegabilmente. Che tutt’intorno a Lenore ruotano dei personaggi assurdi, il suo fidanzato con una serie di manie e complicazioni psicologiche da renderlo surreale, uno psicanalista attaccato ai soldi e privo sostanzialmente di deontologia, un ricco proprietario di un’azienda che vuole mangiare l’intero universo, un pappagallo che recita sermoni cristiani…

Di più non si può dire, non perché non ci sia contenuto, anzi, il contenuto e gli argomenti di cui parlare sono anche troppi. Ma è difficile tracciarne un significato, una spiegazione.

L’unica cosa che qui riesco ad esprimere, è un parere positivo per quello che è lo stile narrativo ed il tratteggio dei personaggi; l’intreccio è complicato, non di per sé, ma perché via via si susseguono situazioni e frammenti apparentemente scorrelati (pagine di diario, frammenti di racconti, pensieri, trascrizioni di sedute psicanalitiche), ma in estrema sintesi il romanzo è assai divertente, e non troppo complicato.

Per quanto riguarda il significato e il finale… non so che dire: la spiegazione che mi sono dato (ed ho cercato di aiutarmi con recensioni cercate su internet, invano perché paiono tutte inadeguate) è che spiegazione non c’è.

Come per un caleidscopio: si spiega facilmente con quel che è, ma non per ciò che significa.

Consigliato a chi ama scoprire ed avventurarsi in sentieri non convenzionali.