Ieri pomeriggio sono stato alla riunione organizzata dall'[APE Onlus](http://www.apeonlus.info/cms/) con una psicologa, intitolato "Consigli, risorse e strategie pratiche  per affrontare l’endometriosi". In realtà il titolo era piuttosto fuorviante.  

Obiettivo dell’incontro era discutere le difficoltà di dialogo delle donne affette da questa terribile malattia con partner, famigliari e in generale con le persone ad esse vicine.
Unico uomo presente, mi sono reso conto in modo terribile come spesso la donna affetta da endometriosi, oltre alle difficoltà enormi dovute ai dolori, alla fatica, alla stanchezza cronica e agli inevitabili strascichi che la malattia in sé e le varie cure chirurgiche impongono, debba affrontare anche il senso di solitudine, di incomprensione, di stress e di frustrazione dovuta alla difficoltà di comunicare ciò che si prova e, dall’altra parte, di comprendere, accettare ed affrontare una situazione che, come esterni, non si vede.
Lascia stupefatti sentire, pur da persona affatto estranea alla situazione, che vi sono famigliari, mariti, figli, padri ma persino madri che per tutta una vita non riescono ad essere partecipativi, a dare supporto quando, almeno, si rendono conto della difficoltà della loro moglie, madre o figlia.
Ma è anche stato evidenziato che, spesso, sono le pazienti stesse a non saper creare il canale di comunicazione, o a saper comunicare correttamente il loro disagio e le loro difficoltà.
Vi sono molte forme di comunicazione, anche semplicemente verbale. Il problema è come ciò che comunichiamo deve essere interpretato da chi dovrebbe ascoltare. Preparare l’ascolto è altrettanto importante del messaggio stesso. Far sì che l’altro ci ascolti è un presupposto imprescindibile per la comunicazione, così come far sì che il messaggio sia colto in modo corretto fin dalla prima parola.
Purtroppo la minor predisposizione ad ascoltare viene spesso dai famigliari stessi, perché nel corso del tempo si è instaurato un’abitudine che fa sì che né da parte di chi parla, né da parte di chi dovrebbe ascoltare, sono prese quelle accortezze per rendere la comunicazione più facile.
Mi hanno molto colpito i racconti delle donne presenti, ma ancor più mi ha colpito che non vi fossero altri uomini presenti. Non tanto, a dire il vero. Credo che poche donne abbiano pensato di chiedere al partner di partecipare, ma ancor prima, si siano poste il problema se il partner potesse partecipare e se egli volesse partecipare.
Questo perché, come ho detto all’incontro, gli uomini sono convinti che “le cose di donne” siano “cose di donne”, ma la colpa non è tutta nostra, perché a noi maschietti, nessuno ha spiegato che “le cose di donne” spesso sono cose di coppia.
La donna è spesso sola nell’affrontare questi problemi. Un problema di sterilità, di dolore nel rapporto sessuale, di depressione e l’endometriosi stessa, è un problema di coppia, oltre che del singolo. Ma le donne non hanno mai provato a renderci partecipi di ciò. Spesso dentro di sé come nella “saggezza di suocera”, la donna liquida il problema con “tanto non capiscono” (andrebbe scritto in dialetto!), quando invece molti uomini semplicemente non sanno di cosa si stia parlando.
Mi ha molto colpito in questo senso il racconto di una ragazza, che si era portata il compagno ad una visita. Alla diagnosi “è endometriosi”, lei scoppiò a piangere quando lui invece era sorridente: “Non sei contenta, ora sai cos’è e quindi puoi guarire”. La sua risposta è stata: “piango perché so che cos’è”. Lui non lo sapeva. Qualche tempo dopo, con lo spirito pratico, a “compartimenti stagni” che distingue il maschio, si era informato e sapeva tutto di questa malattia.
Mia moglie non mi ha mai nascosto nulla della sua malattia. Certo, anche sapendo tutto, è difficile comprendere a fondo e soprattutto sostenere adeguatamente la propria moglie, soprattutto in quei giorni in cui la malattia la piega in due dal dolore e non è in grado di lavorare, di accudire i figli, di avere, in sintesi, una vita normale.
Ma, ciascuno con i propri limiti, può far si che questa situazione sia un po' meno difficile. L’importante è, prima di tutto, cercare di comunicare correttamente.
Certo, la mera comunicazione non può risolvere i problemi. Gli stronzi egoisti ci sono, non neghiamolo. Ma il carnefice è tale perché c’è una vittima che lo crea.
Ringrazio davvero le volontarie dell’A.P.E. Onlus per l’opportunità di partecipare e per i grandissimi sforzi che ogni giorno sostengono per far si che le donne malate e i loro famigliari riescano ad affrontare quella che nel più completo silenzio di istituzioni e media è una malattia terribile e ahimè diffusissima.
Una malattia che ad oggi non si è meritata l’attenzione invece rivolta a molte altre anche meno diffuse.
Spero che al prossimo incontro vi sia più partecipazione maschile: farebbe bene a molti mariti e compagni, perché spesso il marito disattento è semplicemente un marito che non sa cosa sta succedendo, non sa perché la propria amata sta male e vorrebbe esser d’aiuto ma non è messo in grado di farlo.