Non è mai facile, per un appassionato lettore, guardare con occhio disinvolto e vergine il film tratto da uno delle saghe più avvincenti ed entusiasmanti degli ultimi anni.

D’altra parte non è neppure facile per un regista realizzare un film che non sia ad esclusivo appannaggio di chi ha già letto tutta la saga precedente, per di più con le aspettative così alte per un finale grandioso di una storia iniziata, cinematograficamente parlando, tanti anni prima.

E dunque fin dall’inizio ho provato, seduto sulla poltroncina del cinema (rigorosamente tradizionale, non certo 3D), ad abbandonare la profonda aspettativa che l’attesa durata un anno ha generato.

Ho seguito la saga di Harry Potter fin dall’inizio. Non che il primo libro mi avesse fatto impazzire, anzi, ma notavo - più inconsciamente che altro - una potenzialità in esso. Ma i primi film, erano a mio parere piuttosto fiacchi, adatti ad un pubblico decisamente pre-teen.

Ma già “Il prigioniero di Azkhaban” portava dei temi interessanti, a cominciare dal tracciare quella che poi sarebbe stata il leit-motiv di tutta la storia, ossia il destino di un eroe che necessariamente perde tutto ciò che gli è caro.

Piano piano questi aspetti psicologici sono diventati predominanti, nella saga letteraria, diventandone il pilastro.

Ma fu con “L’ordine della fenice” che scoppiò il mio amore per questa storia. Amore che divenne ancora più intenso con il “Principe mezzosangue”, sebbene all’inizio non fui completamente convinto.

Ma se la storia cinematografica era stata, fino all'“Ordine della fenice”, aderente a quella letterario, inevitabilmente nel Principe i fili si persero.

Del resto, nel principe soprattutto ma anche nei “Doni della morte”, l’aspetto psocologico è tutt’altro che secondario, anzi.

Detto ciò, ero pronto ad uscire insoddisfatto dal cinema, come del resto ne ero uscito dopo la Prima Parte de “I doni della morte”, circa un anno fa. Non ne scrissi sul blog, sebbene ci sia stato un precedente post a commento del Principe versione cinematografica: i commenti si rimandano sempre a bocce ferme, e la suddivisione dell’epilogo in due parti distanziate di un anno hanno solo fatto male al giudizio complessivo.

In ogni caso, rifacendomi al mio precedente commento su “Harry Potter e i doni della morte”, versione letteraria, ovviamente il film ne uscirebbe con le ossa rotte.

Però come sono solito dire, opere letterarie ed opere cinematografiche vanno viste come cose distinte.

Pertanto ho fatto l’esercizio di rimuovere le aspettative, e di far finta di non conoscere nulla della storia.

Il film è decisamente impressionante. Gli effetti speciali danno quell’emozione che ci si aspetta da una battaglia magica tra i più grandi maghi del tempo, la storia è serrata ed il ritmo non lascia respiro. Alcune parti sono addirittura migliori nel film, non da ultimo la concezione del finale, che trasposto letteralmente sullo schermo sarebbe stato una ridicola delusione.

Ci sono certamente diverse sbavature, alcune anche brutte (Voldemort ed Harry che fanno a pugni? Suvvia!), ma nel complesso il film è godibilissimo, soprattutto da chi non ha letto il libro.

Ecco, soprattutto.

Però appunto, occorre staccare la testa, dimenticare tutto quello che è il libro.

Manca infatti tutto l’aspetto psicologico e filosofico della storia, l’eroe che deve rinunciare a tutto, sacrificare se stesso e i propri affetti, per qualcosa di più alto, e poi i mille dubbi e i mille tormenti di tutti i protagonisti, umanissimi, se pur maghi.

E inevitabilmente sono sacrificati aspetti importanti della storia, aspetti che in certi punti lasciano in sospeso dettagli del film: nessuno si è chiesto qual è il senso del libro di Rita Skeeter? Nel libro ha un ruolo determinante, perché tutto si incentra su ciò che Silente non ha spiegato ad Harry, mentre nel film è solo accennato, anzi, buttato lì.

Un vecchio detto dice che se in un film si inquadra una pistola, essa deve sparare. La sensazione è che in molti punti le pistole non sparino affatto, e questo lascia un senso di vuoto.

Ma del resto non poteva che essere così. Il romanzo è denso, e inevitabilmente si rifa a tutti i precedenti; troppe cose sono state tralasciate nei precedenti film (non parliamo di quel che manca del Principe!) perché fossero riprese nell’ultimo, altrimenti il rischio era di avere non solo una “parte 1” e una “parte 2”, ma anche una “parte 3 e 4”!

Per concludere, che giudizio dare a questo film?

Semplicemente uno: se non avete letto i libri, probabilmente vi piacerà. Se avete amato i libri, invece, ne rimarrete senz’altro delusi, ne avvertirete i vuoti e la mancanza di spessore emozionale. Non ci si commuove nel film, nel libro probabilmente si.

In sintesi, credo che il film sia stato reso vicino al massimo che si poteva raggiungere per un’opera così complessa, e va tutto ad onore del regista. Tuttavia non aspettatevi un film memorabile.

L’ho detto uscendo dal cinema, davanti alla gigantografia della scena del treno di “Amici miei”: tra 5 anni non parleremo certo di Harry Potter, ma del film di Monicelli sicuramente si.

E, aggiungo, ricorderemo le emozioni che i libri ci hanno regalato, e dei personaggi, Silente, Python, Harry, Hermione e Ron.

Non certo però del film.